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La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

EDOARDO MARZARI

“Lo stato ha per fine la cultura profana del benessere temporale nella società. La Chiesa ha per fine la santità (senso della salvezza eterna) (sempre nella società, in hoc mundo).

Cultura dunque e santità: ecco i due termini; sacro e profano. Distinti ma non separabili (come vuole il laicismo) senza danno reciproco: una civiltà insensibile alla religiosità, una santità chiusa alle ansie della vita terrena. Compito quindi delle due organizzazioni una sforzo di apertura reciproca, di “raddrizzamento” che però deve strutturarsi per essere sano, durevole e umano come autoraddrizzamento”.

Così scriveva nel giugno del 1955 don Marzari, quasi sintetizzando in poche righe il senso della sua opera di sacerdote e di cittadino.

Nato a Buie d’Istria nel 1905, aveva studiato al liceo “Carlo Combi” di Capodistria. I suoi contatti con il mondo cattolico erano stati quelli tradizionali di molti giovani della sua età: Azione cattolica e movimento scoutista, dove si era messo presto in luce fondando un suo gruppo dedicato alla memoria di Damiano Chiesa.

Conclusi gli studi liceali si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Padova, ma non portò a termine gli studi. Per un certo periodo sparì dalla circolazione e si seppe poi che si era recato a Roma, al Collegio Capranica, che studiava teologia e che intendeva farsi prete.

Fu ordinato sacerdote nel 1932 e perfezionò gli studi teologici presso l’Università Gregoriana; tre anni dopo fece ritorno nella diocesi di Trieste e Capodistria e assunse le funzioni di vicario del Capitolo del Duomo di Capodistria.

Negli anni Trenta la sua educazione antifascista maturata a contatto con il partito popolare e con gli ambienti popolari di Capodistria lo portarono a manifestare ripetutamente la sua opposizione al regime. Nominato direttore del settimanale diocesano Vita Nuova, scrisse contro la politica razzista del III Reich e contro la gerarchia cattolica austriaca, troppo arrendevole di fronte ai nazisti e troppo incline a ridurre la religiosità a “elemento tradizionale, istituzionale e decorativo”.

Nel maggio del 1939 un suo articolo dal titolo “Impegnarsi” attirò su di lui le ire delle autorità fasciste. Marzari invitava i lettori ad abbandonare la tradizionale passività nei confronti del potere costituito e a “prendere posizione ascoltando solo la propria coscienza: impegnarsi, compromettersi significa appartenere ad un’idea. Il che non significa rinunciare alla propria libertà, ma conquistarla: possedere una bussola, un mezzo di orientamento, e chiarezza di idee”.

Per il suo comportamento coraggioso venne infine allontanato dalla direzione del giornale diocesano. Negli anni successivi la sua opera si svolse tra Trieste, Capodistria e Umago, e lo vide impegnato soprattutto nel campo della formazione dei giovani: in questo periodo organizzò il movimento dei “pionieri”, che in qualche modo anticipava la futura struttura dell’“Opera Figli del Popolo”.

Nei primi anni Quaranta Marzari strinse rapporti di collaborazione con Giovanni Tanasco e con gli uomini che dovevano dar vita al primo CLN triestino. Quando, nel dicembre del 1943, i tedeschi e la polizia fascista decapitarono il Comitato, il movimento di resistenza attraversò un periodo di drammatica crisi.

Agli inizi del 1944 i partiti antifascisti riuscirono a ricucire i rapporti di collaborazione superando mille difficoltà, sia esterne che interne. Li divideva, soprattutto, la questione nazionale, che pesava da tempo su queste terre di confine. Durante le trattative a Marzari venne presentato il dirigente comunista Luigi Frausin: “Si trattò - scrisse - di ridar vita al Comitato dei Partiti. La cosa andò un po’ in lungo per le esitazioni del Frausin nel dare le garanzie che noi si richiedeva […]. Appena alla fine di maggio il Frausin assunse un atteggiamento per noi accettabile e quasi nazionale, dicendosi in contrasto con la tesi slava e contrario ad un manifesto convalidato dal CLNAI di Milano, da cui appariva che i nostri partigiani avrebbero dovuto dipendere dal IX Corpus jugoslavo”.

Il suo impegno in prima linea non poté sfuggire alla polizia nazifascista e la sera del 7 febbraio 1945 - “mentre impaccavo documenti e denaro per trasferirmi in un’altra sede, procuratami dal sig. Reti” - venne arrestato da Collotti e dagli uomini della sua “banda”.

Esiste una testimonianza di suo pugno sulla quella drammatica vicenda. Giunto all’Ispettorato gli venne imputato di agire in combutta “con Buffarini Guidi e vari altri pezzi grossi fascisti che secondo il dott. Collotti facevano il doppio gioco. […] Entra Collotti. Ripete brevemente quanto sopra. Io gli manifesto lo spirito di alto sentire umano, cristiano ed italiano della nostra azione; lo rimprovero per l’infamia che attirava sul nome italiano coi suoi procedimenti e particolarmente con le sevizie fatte a Miani da gente delle vecchie province, in questa sua stessa Trieste per la quale aveva versato sangue e meritato la medaglia d’argento. Egli si irrita, mi insulta, mi fa spogliare l’abito talare e condurre alla tortura. Vengo legato ad una poltrona, mani, piedi, busto, avambraccio. Poi cominciano le tremende scariche elettriche alle varie parti del corpo. Si vuol sapere i nomi dei vari componenti il Comitato, del comandante militare, dei capi e dei membri più in vista dei vari partiti, dei finanziatori; i luoghi dove sono depositati i danari, i rapporti con i comunisti, con l’OF, col Podestà e con il Prefetto. Ho resistito senza urlare e rammentando i miei doveri di sacerdote.”

Il 29 aprile Marzari venne liberato dalle carceri del Coroneo da un gruppo di partigiani penetrati clandestinamente sotto la guida di Marcello Spaccini e il giorno successivo incontrò il nuovo Comandante militare del CLN, il colonnello Fonda Savio. Temendo che l’esercito jugoslavo ponesse un’ipoteca definitiva sulla città cercò in tutti i modi di anticipare i tempi firmando i decreti che attribuivano le cariche di prefetto e di questore a due italiani. Ma la sua fu una battaglia persa. Gli jugoslavi erano ormai in città e quando gli uomini del CLN dovettero consegnare le armi Marzari fuggì a Roma, dove contattò il capo del governo Bonomi e venne ricevuto anche dal pontefice. Durante questo breve soggiorno sostenne una dura polemica con Togliatti, rafforzando la sua opposizione alla politica che il PCI stava seguendo nei confronti dei confini orientali e del destino nazionale della Venezia Giulia.

Dopo la fine dei “Quaranta giorni” Marzari fece ritorno in città e cominciò quell’opera indefessa che avrebbe dato un volto nuovo a tutto il mondo cattolico triestino. In tutte le sue strutture sociali e culturali Trieste doveva diventare “una parte visibile dell’Italia”, in piena armonia ideologica e politica con quella battaglia che De Gasperi stava combattendo in Italia. Sono anni di duro scontro nazionale e sociale, anni in cui, come scrive Fabio Marchetti – dirigente delle ACLI e attivo nell’associazionismo cattolico all’indomani del Concilio - “Il quadro dei valori è certo, è dato, è preciso. è l’interclassismo cattolico. è la terza via della dottrina sociale cristiana che vuole che senza conflitto cresca una società giusta, pur nella diversità delle classi: la terza via tra capitalismo e socialismo. […] è la DC che dà sbocco istituzionale e politico a tutta la realtà, che è formativa educativa e prepolitica. Questa realtà non solo non ha e non deve avere rapporti con i comunisti, ma non può neanche leggere la loro stampa, i loro classici. Per leggere l’Unità o il Lavoratore bisogna avere il permesso speciale della Curia; per leggere i testi del marxismo bisogna passare attraverso le interpretazioni emendate e commentate con tanto di “imprimatur””.

In questo mondo don Marzari rappresentò una voce, un’esperienza assolutamente centrali: “La sua intuizione” – continua Fabio Marchetti - “ha fondamento nella teologia delle realtà terrene per cui i cattolici devono farsi portatori di una presenza chiara in tutti i settori di impegno politico, sindacale, sociale, culturale. Quando era stato assistente dell’Azione Cattolica aveva svolto un’intensa opera educativa all’impegno sociale cristiano e conseguentemente è lui l’animatore, il creatore, il fondatore, il finanziatore, il presidente di tutto l’associazionismo cattolico triestino, dalla DC alle ACLI. Ma è sempre lui il promotore e l’artefice delle organizzazioni che in città si contrappongono all’apparato comunista e quindi “filo-titino”: dai Sindacati Giuliani alla Lega Nazionale”.

Uomo fondamentalmente pratico, nell’azione quotidiana dava il meglio di se stesso. Nei suoi appunti si trovano però anche alcuni spunti interessanti di riflessione teorica: così, in data 26 giugno 1955, delineava i suoi pensieri sul rapporto tra la dottrina sociale cristiana, il liberalismo e il socialismo: “(Cfr. Bobbio, Lib. E cult.) Libertà=assenza di ostacoli nella gara umana (opp. Nelle esplicazioni delle energie morali; opp. Nel proporsi dei fini e nella scelta dei mezzi).

Il Liberalismo si propone di assicurare le condizioni per la gara, astenendosi da ogni giudizio sui fini e sui mezzi che rimangono individuali.

Fin qui come metodo accettabile. Il torto storicamente fu: di farsi metafisica, cioè di negare valori assoluti: agnosticismo, storicismo, dialetticismo, libertà per la libertà, pura spontaneità; di mettersi al servizio di un ceto (intellettuali, ricchi…); di limitarsi ad un interesse, bene; la produzione economica, la libertà politica, o nazionale, o religiosa.

Astrattamente viene a coincidere con il socialismo; uguaglianza di situazioni di partenza, assenza di protezionismi e monopoli, privilegi.

Mentre il socialismo rappresenta i diseredati che per avere eguaglianza han bisogno di protezione, di vantaggi da parte dello stato. Ambedue “rivoluzionari”, ma il liberalismo contro lo stato dei ceti chiusi, delle posizioni ereditarie e monopolistiche per un’aristocrazia qualitativa e quindi aperta a tutti (democrazia qualitativa pluriclasse). Il socialismo contro lo stato della classe imprenditrice, cap.: deve partecipare al potere anche la classe lavoratrice, democrazia uniclasse. Anche il socialismo si è ideologizzato: marxismo, materialismo.

Ideale per ideale tanto vale a chiamarsi a quello cristiano della solidarietà e della supplenza che rispetta le differenze naturali. In conclusione, bisogna sempre lottare spiritualmente contro l’egoismo. Niente automatismi, non si vive di rendita. Non sono canonizzabili né lib. (ottimismo libertario), né il soc. (ricorso alla forza). La libertà non è qualcosa di negativo e vuoto. Né è frutto della forza. È premio dell’Ideale di amore costantemente rifuso, cioè spiritualizzato, ossia conquista di ogni ora e di ogni generazione”.

Con questo spirito si dedicò anche alla fondazione dell’Università Popolare, della “Famiglia Auxilium” – in una soffitta del palazzo Vivante ospitava giovani profughi dall’Istria - della Repubblica dei Ragazzi, del convitto “Semente Nova”.

In campo politico le sue posizioni furono molto vicine a quelle della Democrazia Cristiana di Gianni Bartoli e del vescovo Santin: come il suo vescovo, Marzari ebbe posizioni radicalmente anticomuniste e polemizzò ripetutamente contro la “tirannide” di Tito e il tradimento dei diritti degli istriani operato dalle grandi potenze e dalla “triste erba di coloro che per una male intesa disciplina di partito son disposti a mettere in quarantena (per non dire in soffitta) le più essenziali e improrogabili rivendicazioni nazionali”.

Nel settembre del 1947, all'indomani della esecuzione degli accordi previsti dal trattato di pace, confidò a don Mario Sirza, allora suo corrispondente negli USA presso i cattolici italo-americani, di aver pensato perfino di abbandonare la città in segno di protesta: “La tendenza è quella di fuggire da queste terre. Anche tra i buoni l'idea di prepararsi, di costruire, semplicemente di predisporre delle difese e delle linee di resistenza spirituale, talora viene definita pazzesca”. Infine prevalse in lui il senso di un dovere diverso: “La coscienza cristiana deve reagire a queste cose, il clero e i cattolici non devono abbandonare il campo”.

Su un punto però le posizioni del vescovo e quelle del suo sacerdote diversero profondamente. Marzari considerò sempre l’“Opera Figli del Popolo” – col tempo questo nome venne indicando l’insieme delle diverse organizzazioni sorte in favore dei giovani - la sua creatura più cara e più significativa e volle aprirla alla collaborazione e alla partecipazione dei laici. Il vescovo Santin, invece, riteneva che queste opere sociali dovessero essere considerate alla stregua di “enti di culto” e quindi ricadere sotto il controllo unico della Chiesa.

La polemica riguardava il modo stesso di concepire i rapporti tra Chiesa e società e gli spazi di autonomia di cui dovevano godere le associazioni dei laici. Molto significative al riguardo sono alcune riflessioni che don Marzari trascrisse in data 5 maggio 1955: “Il compito dunque è duplice: apertura reciproca, aggiustare il mondo cattolico alle esigenze dei nuovi doveri profani, raddrizzare il mondo profano, le sue strutture secondo le esigenze della coscienza cattolica. Nessun dubbio che spetti alla Chiesa dar direttive per ambedue i campi (anche per quello profano essa sola può definire ciò che è conforme allo spirito cristiano o ciò che ne è difforme). Ma sotto l'aspetto della responsabilità esecutiva di questo raddrizzare in campo profano, è opportuno che l'iniziativa e la direzione eccl. si sostituisca a quella laica? È cioè opportuno che la “guarigione” e la “profilassi” della società civile e politica venga non solo predicata, raccomandata, promossa dalla società ecclesiastica, ma anche interamente e prevalentemente, da essa eseguita? […]È opportuno che la Chiesa domini (per riformarla, s'intende, e controllarla positivamente), o per garantirsi da ostilità, la scuola, la cultura, il sindacato, l'assistenza, l'economia e la finanza, la politica ecc.? Come può il laicato mondano accettare questa manomorta? Anche se ci fossero i laici disponibili per agire competentemente in luogo del clero (o preti in calzoni), si avrebbe sempre il sospetto e la realtà dell'eminenza grigia e degli interessi estranei”.

Le “frizioni” durarono a lungo tra Marzari e il suo vescovo, ma l'orgoglioso fondatore e animatore dell'Opera dei Figli del Popolo non si piegò facilmente: pur essendo animato da una “fede dogmatica e mitica nella sua Chiesa” - “a volte mi è parso addirittura fanatico”, scrisse il poeta Biagio Marin - don Marzari si appellò alle autorità superiori pur di salvare in qualche modo l'autonomia della sua creatura prediletta: “Perché ho visto inutile ogni tentativo di intesa ho dovuto esporre ogni cosa alla S. Cong. del Conc. Questa in sostanza approva proposta che salvi il carattere laicale e l'autonomia della soluzione, pur facendo notevoli concessioni alle tesi di mons. V.”.

Questa forza lo accompagnò fino ai suoi ultimi anni di vita, che lo videro instancabilmente impegnato, come vent’anni prima, a favore dei giovani più bisognosi, degli studenti poveri che erano giunti in città con le loro famiglie dalla “sua” Istria. Come ricorda con affetto Corrado Belci, che era stato uno degli ospiti di quelle “celle” del Palazzo Vivante, lottò fino all’ultimo “per dislocare le sue forze giovanili nei gangli della futura Trieste democratica: “chi all’università, chi nel sindacato, chi nell’associazionismo, chi nella professione”.

Belci gli fu vicino anche negli ultimi mesi di vita: “Morì in assoluta povertà a 68 anni, quando ormai la vista si era attenuata, il diabete si era accentuato, il suo ritmo si era modificato ed aveva perso la sua tradizionale febbrilità per allungare i tempi della sua già intensa preghiera”.


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