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La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

ATTILIO HORTIS

Attilio Hortis nacque a Trieste il 13 maggio 1850, primogenito dell'avv. Arrigo, uno degli esponenti più noti del partito liberalnazionale. Brillante fin dagli anni in cui frequentò il Ginnasio comunale, Hortis studiò a Padova giurisprudenza e lettere: laureatosi in giurisprudenza nel 1871 esercitò per breve tempo poco l'avvocatura, dedicandosi poi completamente agli studi letterari.

La sua formazione avvenne negli ambienti frequentati dal padre, tra i quali spiccavano personalità quali Demetrio Livaditi, Oscar Hiersche de Minerbi, Leone de Minerbi. Furono proprio questi uomini, a nome del “Comitato triestino-istriano”, ad indurlo nel 1866 a stendere un memoriale per Bismarck, col quale i “patrioti triestini” cercavano di indurlo a spingere le truppe prussiane fino a Trieste, per liberarla dagli Asburgo.

Negli anni Settanta Attilio Hortis, dopo aver ottenuto l’incarico di direttore della Biblioteca Civica di Trieste, divenne anche direttore dell’“Archeografo Triestino”. Secondo una posteriore agiografia avrebbe rifiutato incarichi più prestigiosi e meglio retribuiti - quali una cattedra di letteratura in una università austriaca e la direzione della biblioteca “Vittorio Emanuele” di Roma - per potersi dedicare completamente alla sua battaglia per l’italianità di Trieste. Grazie anche al suo lavoro di archivista si conquista una fama meritata di studioso di letteratura e di storia patria. Degni di memoria sono i suoi lavori di critico quali gli Scritti inediti di Francesco Petrarca, lo studio su Alcune lettere di Pietro Metastasio pubblicate dagli autografi e gli Studi sulle opere latine del Boccaccio.

In seguito alle difficoltà economiche causate dai debiti lasciati dal padre che si era suicidato deve rinunciare alle lunghe e dispendiose ricerche sulla storia letteraria italiana, pur continuando a seguire con attenzione il dibattito culturale e letterario del suo tempo: nel 1883 i suoi studi sulla storia patria e le sue raccolte d’archivio, raccolti nei tre manoscritti incompiuti La chiesa, Il commercio e La pubblica istruzione, dovevano ancora valergli il premio Rossetti.

L’impegno in campo politico divenne col tempo sempre più dominante e la sua personalità autorevole si impose nel nuovo scenario politico cittadino. Negli anni Ottanta la borghesia triestina stava infatti perdendo i vecchi connotati “risorgimentali” (basta pensare alla scomparsa di uomini come Kandler e Hermet) e si stava rafforzando con un programma “che è ora di affermazione non tanto dell’idea nazionale, quanto della stessa società nazionale italiana. […] Emerge un nuovo gruppo dirigente liberale nazionale, massonico e fortemente antislavo, il cui stato maggiore è inserito nella loggia “Alpi Giulie” che ha sede a Roma” (Apih). A Trieste si costituisce la società “Pro Patria”, che, soppressa dalla polizia, si ricostituisce con il nome di “Lega nazionale”.

è questo lo sfondo nel quale Felice Venezian e Attilio Hortis presero saldamente in mano le redini del movimento irredentista. Nel 1897 Hortis coronò la sua battaglia politica con le elezione a deputato al Parlamento di Vienna, riuscendo nettamente vittorioso tra i candidati della “Quinta Curia”. A Vienna avrebbe operato per oltre un decennio, impegnandosi con tenacia in particolare per la creazione di una università italiana a Trieste.

Nel 1901, i liberalnazionali ripropongono la sua candidatura, anche se la valutazione del suo operato non doveva essere molto lusinghiera, come testimonia il console italiano in due successive relazioni: “letterato insigne ma uomo politico incapace”, si sarebbe alienato “le simpatie del pubblico”. Come leader politico indubbiamente la personalità dominante è Felice Venezian.

A Vienna, nel 1905, durante i lavori del Consiglio dell’Impero, si fa portavoce fedele delle posizioni del suo partito, avanzando molte cautele nei confronti della proposta di introduzione del suffragio universale, che appariva alla borghesia triestina pericoloso per la rappresentatività del gruppo nazionale italiano: “Non avrei titubanze se dovessi scegliere tra gli interessi di un’idea liberale e gli interessi della mia nazione”. A Trieste, agli inizi del secolo, la bandiera del liberalismo è ormai del tutto strumentale e subordinata alla rivendicazione nazionale.

Nel 1907 lo troviamo in missione segreta presso Clemenceau per porre in sede internazionale la questione di Trieste ed in questa sede dà prova di accortezza e di moderazione.

Il destino nazionale della città è sempre la bussola della sua attività politica e lo scoppio della Prima guerra mondiale sembra avvicinare il tracollo della monarchia asburgica e il coronamento del programma irredentista. Nella primavera del 1915, assieme a numerosi esponenti del partito nazionalliberale, tra i quali Riccardo Pitteri, Attilio Tamaro, Spiro Xidias-Tipaldo, Mario Alberi, passa il confine, raggiunge Venezia e quindi Roma. La loro posizione tende ormai a identificarsi con quella dei nazionalisti e così pure la loro attività politica: non a caso studiosi quali Renato Monteleone e Salvatore Francesco Romano per indicare il loro gruppo usano il termine “liberal-nazionalisti”.

A Roma Hortis trova appoggio negli ambienti della massoneria e degli alti quadri dell’esercito, che si schierano a favore delle posizioni più intransigenti dei fuoriusciti adriatici e trentini. Il 23 maggio, il giorno stesso del decreto di mobilitazione, viene ricevuto dal re, assieme a Cesare Battisti e Giorgio Pitacco: le sue tesi, come quelle di Pitacco, di Carmelo Ara, di Ruggero Fauro-Timeus e di tanti altri fuoriusciti triestini, istriani, dalmati, non ammettono tentennamenti: le rivendicazioni italiane, oltre al Trentino fino alla frontiera alpina, devono comprendere Trieste, la Venezia Giulia, l’Istria, Fiume e la Dalmazia. L’Adriatico deve diventare un mare sotto il completo controllo delle forze politiche ed economiche italiane, con la piena tutela degli interessi del capitalismo armatoriale triestino che aspirava alla funzione di “porta” verso Oriente, verso i Balcani, secondo i voti del nazionalisti i più apertamente imperialisti, tra i quali spiccava in quel periodo il giovane Fauro Timeus.

Alla fine della guerra, nel 1919, Hortis fu nominato senatore per meriti “letterari e politici”; nel 1924, assieme a Giorgio Pitacco e ad Alfonso Valerio, accetta la tessera offerta dal fascio ad honorem al pari di tanti altri irredentisti giuliani, da Paolo Cuzzi a Pier Paolo Luzzatto Fegiz, da Camillo Ara a Teodoro Mayer, da Segré Sartorio a Carlo Banelli, tutti esponenti di spicco di quel ceto borghese che aveva avuto nelle proprie mani le leve del potere economico e politico negli ultimi anni della dominazione asburgica e che ora, per continuare a comandare nella città “redenta”, si apprestava a passare “armi e bagagli” al fascismo.

Morì a Trieste nel 1926.


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