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La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

NATALE KOLARIC

Nato alla fine del 1908 a Santa Barbara, un villaggio di contadini e di operai a pochi chilometri da Muggia, Natale Kolaric (“Bozo” ; Bozic = Natale) è costretto a lavorare fin dall’infanzia per le disagiate condizioni della famiglia: fa il calzolaio e deve interrompere ben presto gli studi.

Entra giovanissimo nel movimento comunista e fa opera intensa di propaganda tra le masse contadine slovene a Trieste, a Muggia, e nei centri vicini dell’Alta Istria. Colpito da un mandato di cattura nell’agosto del 1930, dopo un beve soggiorno in Jugoslavia, dove è fermato dalla polizia, si reca in Austria e poi a Parigi.

Qui, già iscritto da tempo alla F.G.C.I., passa al Partito: il Centro Estero decide allora di utilizzarlo, assieme a Frausin e ad altri dirigenti, per la rischiosa opera di propaganda e di riorganizzazione, a cavallo del confine, dell’opposizione al fascismo tra le popolazioni slovene.

La sua attività si spinge fino a Pola e alla provincia di Fiume, a Ilirska Bistrica, nel goriziano, e non passa inosservata alla polizia. Un documento della Prefettura di Trieste ne parla infatti in termini preoccupati, registrando che con il suo rientro “si diede forte impulso al movimento comunista, preparando ed attuando diffusioni di manifestini sovversivi in lingua slava ed italiana, esposizione di drappi rossi, nonché dimostrazioni di operai e contadini, in apparenza tendenti ad ottenere dalle autorità provvidenze economiche, ma miranti in realtà a preparare altri e più vasti movimenti per sovvertire le istituzioni”.

In effetti, nella seconda metà del 1931, nei villaggi sloveni del Carso, tra gli operai di san Rocco e dei cantieri, gli effetti dell’ opera di propaganda del suo gruppo si fanno sentire: numerose sono le manifestazioni di protesta a Visinada, a Buje, Umago, Grisignana, cui fanno seguito numerosi arresti.

La sua presenza è notata ripetutamente a San Giovanni, al Cacciatore, a san Sabba, fino a quando, nel luglio del 1932 è arrestato dalla polizia e deferito al Tribunale speciale. Viene condannato a 12 anni di carcere: ne sconta 5 a Civitavecchia, dopo di che la pena viene mitigata e viene inviato al confino a Ponza.

A Ponza partecipa in prima persona alla vita politica dei confinati, per cui la polizia lo controlla con particolare attenzione considerandolo un “irriducibile sovversivo che non lascia sperare in alcun ravvedimento”. Per di più “si affianca ai peggiori elementi della colonia e svolge occulta ed attiva propaganda dei suoi principi sovversivi”.

Viene di nuovo condannato a 5 mesi di prigione per resistenza agli agenti e rifiuto di obbedire ai regolamenti, dopo di che viene mandato nuovamente al confino, questa volta a Ventotene, dove ha modo di incontrare altri dirigenti comunisti, tra i quali Frausin e Curiel.

Dopo il 25 luglio del 1943 ritorna nella Venezia Giulia e si impegna attivamente nella resistenza contro i tedeschi e fa parte della delegazione triestina che inutilmente chiede al generale Ferrero la consegna di armi per poter combattere contro gli occupanti.

Da Frausin – che è il leader dei comunisti all’interno del 1° CLN di Trieste - riceve l’incarico di rastrellare il materiale bellico e di formare i primi nuclei “gapisti” di Muggia e di Trieste. Rilevante fu, in particolare, il suo contributo alla formazione dei gruppi partigiani sul Carso istriano e nell’Alta Istria, nonché all’organizzazione di combattenti nel Monfalconese.

Nella zona di Monfalcone, tra il Carso e i cantieri, Kolaric collabora con Rudi Ursic, che era uno dei leader dell’ Osvobodilna Fronta (“Fronte di Liberazione”): una collaborazione che ben presto si sarebbe scontrata con le diversità di linea politica tra comunisti italiani e comunisti sloveni. Mentre Frausin e Kolaric, in conformità con la strategia che i comunisti stavano perseguendo in tutta Italia, cercano di dar vita ai Comitati di Liberazione collaborando con gli altri partiti dell’arco antifascista, Babic e Ursic ritengono che il movimento comunista sia autosufficiente, sia dal punto di vista militare che politico, e che quindi non si debba aprire alle forze “reazionarie” italiane.

Sono i primi segni di una divergenza di fondo sulla “questione nazionale” che col passare del tempo si sarebbe via via approfondita: in questo periodo Kolaric, come Frausin e i comunisti italiani, sostenne sempre con forza la necessità rinviare ogni questione territoriale al dopoguerra.

Nell’estate del 1944 la repressione dei tedeschi in queste zone si fa sempre più pressante ed efficace: Kolaric è arrestato verso la metà di maggio a Vermegliano, in seguito ad una delazione e tenuto prigioniero come ostaggio. Mesi dopo viene condannato a morte dal Tribunale Speciale del supremo Commissario assieme ad altri 18 partigiani, italiani, croati e sloveni, con l’imputazione di “atti di violenza e di sabotaggio” e per “dannosa attività antitedesca”.

Nella pubblicazione della sentenza e della condanna a morte comparsa sul Piccolo del 21 settembre si precisa che “Il Supremo Commissario considerando i casi di violenza verificatisi il 14-9 a. c. e precisamente: l’attentato alla palazzina del Piccolo e alla Stazione ferroviaria di Campo Marzio di Trieste, commesso da un gruppo di malfattori al quale apparteneva anche uno dei condannati a morte, il quale delitto ha chiesto delle vittime innocenti fra la popolazione civile italiana, ha respinto la domanda di grazia dei condannati”.

Tre settimane prima era stato arrestato Frausin.

Tra settembre e gli inizi di ottobre vengono mandati a morte Kolaric, Frausin, Gigante, oltre a decine e decine di altri militanti comunisti italiani e sloveni.

A Trieste i quadri dirigenti italiani del partito comunista vengono così decimati nell’arco di pochi giorni: alla fine del 1944 la federazione triestina del Pci passerà sotto il controllo dei fautori della “linea Babic-Ursic”, che si esprimerà per una soluzione filojugoslava.

Si realizzava così la “svolta comunista” e “svaniva la possibilità di realizzare – scrive Elio Apih – la pur condizionata intesa tra sinistra e moderati che contrassegna al Resistenza italiana”.

Il PCI, infatti, uscì anche formalmente dal CLN quando venne rifiutata la proposta di ammissione dei comunisti sloveni.


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