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storia_ts:documenti:austromarxismo



La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

AUSTRO-MARXISMO

Il termine “austro-marxismo” fu usato per la prima volta dal socialista americano L. B. Boudin per indicare l’atteggiamento assunto dopo la I Guerra mondiale dai socialisti austriaci nei confronti dell’esperienza bolscevica e del revisionismo di Bernstein. Questa polemica su due fronti fece sì che tra le due guerre nello stesso momento in cui la pubblicistica borghese accusava l’austro-marxismo di essere troppo “radicale” e poco “pragmatico” i bolscevichi lo accusavano di essere nient’altro che una delle tante forme di “socìalfascismo” e di “socialpatriottismo” e quindi, in sostanza, un tradimento della causa rivoluzionaria.

Se intendiamo il concetto di “austro-marxismo” in questa prima accezione, il suo nucleo ideologico e politico va trovato nella piattaforma programmatica decisa nel 1926 al congresso socialista tenuto a Linz.

Al giorno d’oggi, però, si è imposta un’altra accezione del termine, meno immediatamente valutativa e più criticamente attenta all’evoluzione concreta di questa esperienza culturale e politica. In questo senso il termine indica le linee fondamentali delle riflessione teorica che la “scuola dei giovani marxisti viennesi” - così li chiamava Otto Bauer, che del gruppo fu il pensatore più originale, - portò avanti nei primi anni del secolo, prima dello scoppio della I Guerra mondiale.

Le personalità più rilevanti di questo gruppo furono Viktor Adler, psichiatra viennese di una certa fama che alla fine degli anni Ottanta ridette vita al socialismo austriaco fondendo l’anima moderata e quella rivoluzionaria, Friedrich Adler, suo figlio, che uccise il primo ministro Karl von Stürkgh, per protesta contro la politica di guerra del suo paese e l’abbandono da parte dei socialisti tedeschi ed austriaci degli ideali internazionalisti, l’economista Rudolf Hilferding, autore di Capitale finanziario, uno dei contributi più originali del pensiero marxista in termini adeguati al XX secolo, Otto Bauer, che tra il 1918 e il 1919 fu ministro degli esteri della neonata repubblica, e Karl Renner, presidente della Repubblica austriaca nel 1946.

Nel 1904 ebbe inizio la pubblicazione di una serie di volumi dal titolo collettivo Marx-Studien; nel 1907 venne fondato il giornale Der Kampf. Furono questi, oltre all’Arbeiter Zeitung, quotidiano del partito, i principali strumenti di dibattito e di propaganda ideologica di cui si servirono gli austro-marxisti.

Il contributo più significativo ed originale offerto dall’austro-marxismo - oltre al tentativo di rinnovare il marxismo in polemica con le interpretazioni deterministiche imperanti a quel tempo - fu, senza dubbio, la riflessione critica sui temi della nazionalità, riflesso evidente di quella Nationalitätenfrage che aveva investito i domini asburgici tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.

L’“antefatto politico più significativo” di queste riflessioni - per usare le parole di Arduino Agnelli - fu infatti il Congresso socialista di Brno, nel 1899, durante il quale il problema del rapporto tra socialismo e principio di nazionalità, e la possibilità di una organizzazione socialista all’interno di uno Stato sovranazionale furono al centro di ampi e sofferti dibattiti.

I contributi più rilevanti dal punto di vista teorico - è sempre utile per la chiarezza del discorso distinguere il piano teorico da quello immediatamente pratico, politico - si devono a Otto Bauer, e a Karl Renner.

L’opera più importante di Otto Bauer sui temi caratteristici dell’“austro-marxismo” è Die Nationalitätenfrage und die österreichische Sozialdemokratie (La questione delle nazionalità e la Socialdemocrazia austriaca), la cui elaborazione risale al 1907. Secondo Bauer la nazionalità è un fatto storico, il prodotto di una evoluzione che non si basa né sulla lingua - altrimenti si giustificherebbe il nazionalismo espansionistico del pangermanesimo - , né tantomeno sulla razza. E’ la “comunità di destino” che per i “popoli senza storia” acquista un grande significato rivoluzionario e socialista ben al di là del vecchio quadro liberale e borghese che postula un necessario rapporto reciproco tra una società nazionale ed uno specifico Stato nazionale.

Era questo un problema centrale nel mondo danubiano e asburgico - come sottolinea il grande storico del pensiero socialista George Douglas Howard Cole - dove a fianco di alcune nazionalità storicamente consapevoli e culturalmente strutturate, quali ad esempio i polacchi, gli ungheresi, i cechi, esistevano altre “nazionalità non storiche”, cioè “quelle che nel perdere la loro autonomia avevano perso anche le loro classi superiori e medie ed erano state ridotte a masse amorfe e sfruttate che lavoravano soprattutto a vantaggio di classi dominanti appartenenti a una nazionalità diversa”.

Nella storia le nazionalità sono soggette a diverse evoluzioni - talvolta anche al declino - sempre sulla base delle trasformazioni dei mezzi di produzione: “La nazione dell’epoca della proprietà individuale, suddivisa in membri della nazione e vassalli della nazione, è il prodotto della decomposizione della nazione comunistica del passato ed il materiale della nazione socialistica del futuro”.

Nella futura organizzazione delle società, il socialismo, l’unico progetto politico ad aver fatto dell’internazionalismo la sua bandiera, non porterà all’annullamento delle singole nazionalità, alla loro omologazione autoritaria, ma anzi le riconoscerà e ne garantirà lo sviluppo pacifico: “La classe lavoratrice di ogni territorio, quanto più si avvicina al potere, sempre più deve adattare nella sua prassi storica i propri metodi di lotta alla particolarità del terreno nazionale in cui essa ha luogo, così è pure dell’idea socialistica della classe operaia, che, quanto più cultura assume in sé, tanto più stretto legame stabilisce con la particolare eredità culturale della nazione”. Su queste basi Bauer prende in considerazione il problema delle nazionalità dell’Austria-Ungheria, mettendo in primo piano l’esigenza del riconoscimento per ogni nazionalità - nei territori in cui questa è predominante - di ampie autonomie nel campo della cultura, della religione, dell’ istruzione, dell’uso della lingua. Funzione principale dello Stato plurinazionale dovrà essere perciò quella di promulgare le leggi necessarie a tutelare i diritti culturali di tutte le minoranze e di garantire a tutte le nazionalità una sostanziale unità di sviluppo economico e sociale.

Gran parte di queste idee sono comuni anche a Renner, che nei suoi diversi scritti dà del concetto di “nazione” un’accezione ancora più marcatamente culturale e spirituale, svincolandola dalle connotazioni di natura economico-sociale che l’impostazione marxista le aveva attribuito.

Già nel suo Der Kampf der Österreichischen Nationen um den Staat (La lotta delle nazioni austriache per lo Stato, 1902) Karl Renner sostenne che la questione nazionale era solo uno degli aspetti “moderni” del problema più ampio dei rapporti tra i “corpi intermedi” della società civile e lo Stato, delle forme di inserimento degli individui nella realtà statuale. Ad ogni individuo deve essere riconosciuto il diritto di scegliersi la propria nazionalità indipendentemente dal territorio in cui vive, allo stesso modo in cui gli deve essere riconosciuto il diritto di professare la sua religione. La “nazionalità” non è solo un diritto dei gruppi, ma anche del singolo individuo: nel suo progetto di riforma sarà proprio l’individuo a scegliere il “registro nazionale” nel quale essere iscritto.

Mezzo e fine di questa libertà di scelta sono le diverse rivendicazioni popolari ispirate agli ideali democratici ed in particolare il suffragio universale. Attraverso il voto le nazionalità potranno inserirsi rapidamente e in modo organico nello Stato: è convinzione di Renner, e non solo sua nel panorama del socialismo europeo, che lo Stato moderno sia venuto sempre più acquisendo funzioni in qualche modo al di sopra della lotta tra le classi e quindi potenzialmente funzionali agli interessi della classe operaia.

Questo inserimento pacifico non è possibile all’interno del “moderno” Stato territoriale teorizzato dal pensiero liberale borghese - “Abiti sul mio territorio, ed allora sei sottoposto alla mia signoria, al mio diritto, alla mia lingua” -, ma solo nel quadro di uno stato autenticamente “federale”. Alla “scienza politica” - come sottolinea Arduino Agnelli - spetterà il compito di porre le fondamenta teoriche, costituzionali, di questo stato “federale”, che solo potrà garantire la pacifica coesione di diverse nazionalità. I modelli di federalismo cui si rifà Renner si trovano nel pensiero e nell’opera di Washington, Hamilton, Madison, di quegli uomini che seppero nel 1788 trasformare una mera Confederazione di Stati in un potente Stato federale. Lo Stato federale porrà inoltre un limite allo strapotere della borghesia capitalistica e saprà soddisfare sempre più ampiamente le esigenze del proletariato.

Il trionfo dei nazionalismi e lo scoppio della I Guerra mondiale sembrarono recare un colpo mortale al programma e alle teorizzazioni dell’austro-marxismo, ma in realtà il suo insegnamento - in particolare le dottrine di Bauer - ebbe un’influenza significativa anche dopo il 1914: da una parte va sottolineato il peso che queste dottrine ebbero sul modo in cui Lenin e il giovane Stalin affrontarono la questione delle nazionalità all’interno dell’Unione Sovietica - Lenin sostenne che “molto di quanto essi hano fatto a questo riguardo rimarrà per sempre prezioso patrimonio delle letteratura socialista”, - dall’altra va ricordata l’influenza sugli ambienti socialisti triestini e sulla Democrazia sociale irredenta, soprattutto in riferimento alla fede di Pittoni e dei suoi nel diritto delle popolazioni del Litorale di scegliersi il proprio futuro attraverso lo strumento democratico e “socialista” del plebiscito. Fino all’ultimo, rimasto in minoranza tra “riformisti” di Puecher e gli “estremisti” che si preparavano all’abbandono del Partito socialista per aderire all’Internazionale comunista, Pittoni rimase fedele allo spirito di quel Paragrafo IV che era stato votato al Congresso delle nazionalità dell’aprile 1918 e che raccoglieva uno degli insegnamenti fondamentali dell’ “austro-marxismo”: “Ai nuclei di un popolo che dovessero essere inclusi nei confini dell’altro, sarà riconosciuto e garantito il diritto al rispetto della loro lingua, della loro cultura e dei loro interessi morali ed economici”.


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