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storia_ts:storia:1813_1866



La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

LIBRO TERZO: 1813 – 1866

Trieste era, nel primo decennio del secolo, una città ormai compiutamente cosmopolita, immersa negli affari, tollerante nei confronti delle più diverse nazionalità.

Le sue possibilità di sviluppo erano però ancora limitate da una certa incapacità della sua classe dirigente di misurarsi con i grandi problemi che agitavano in quel periodo l'Europa, dovuta al persistere sotterraneo di quel municipalismo conservatore e timoroso che era tanta parte della sua storia.

Nel 1813, all'indomani della sconfitta napoleonica a Lipsia, la città ritornò nuovamente in mano agli Asburgo, che in un primo momento sembrarono voler usare la mano pesante: Trieste venne proclamata terra di conquista ed inserita, assieme a Gorizia e all'Istria, nella struttura del “Deutscher Bund” (Confederazione germanica), in quanto possesso già “pertinente” al Sacro romano impero.

Si prefigurò così, allora solo formalmente, quella dimensione europea della città che sarebbe emersa solo a partire dal 1848.

Un altro fatto significativo di questo periodo che si inserì pienamente nell'atmosfera generale di “restaurazione” fu la creazione del “Circolo di Pisino” (“Mitterburger Kreis”), voluto da Vienna nel 1822: questa scelta, che sembrò in un primo momento una decisione di scarso rilievo, determinò in realtà l'attribuzione di 50.000 o 60.000 croati dell'Istria interna al distretto dell'Istria ex veneta, che a quel tempo aveva una popolazione in maggioranza di lingua italiana.

Una volta distaccata Trieste dal resto del “Circolo” – così lamentava Benussi nel suo Manuale di geografia, storia e statistica della regione Giulia – la popolazione complessiva dell'Istria spostò sensibilmente a favore dei croati la proporzione etnica tra italiani e slavi.

Questo fatto emerse solo col tempo nella sua complessità e nella sua reale portata: “Quest'ultima [l'Istria]” – sottolinea Giulio Cervani – “unificata amministrativamente, ma non nel modo desiderato allora dagli istriani di lingua italiana, non faceva in realtà che rivelare per la prima volta il suo aspetto etnicamente e nazionalmente complesso. Ed i guai, guai di natura politica e nazionale, sarebbero venuti puntualmente fuori tutti, più tardi”!

In città, intanto, si stavano sviluppando gli ideali liberali, di cui si facevano coraggiosi portavoce alcuni giovani intellettuali che gravitavano attorno alla rivista La Favilla, fondata nel 1836: uomini come Antonio Madonizza e Giovanni Orlandini erano ben lontani dal municipalismo conservatore che caratterizzava la posizione di Rossetti e manifestavano per di più una sensibilità e un rispetto per la cultura e la storia delle vicine popolazioni slave che era inusuale a quel tempo e ricordava, per certi aspetti, la lezione mazziniana.

In un primo momento la rivista incontrò non poche difficoltà – il Direttore della polizia Call sconsigliò vivamente di affidare la direzione della rivista ad un uomo come Madonizza, “d'animo esaltato e facilmente esaltabile” – ma la situazione politica generale volgeva in ben altre direzioni e Vienna si preparava a riconoscere alla suddita fedele nuovi spazi di libertà.

Il periodo tra il 1835 e il 1848 fu infatti un periodo particolarmente felice per la città: dapprima la concessione del Consiglio ferdinandeo, che affiancò con poteri consultivi il Magistrato civile, poi la decisione da parte della “Hofkammer” (Camera Aulica) di inviare a Trieste come governatore il conte Johann Philip Stadion, uomo aperto alle istanze liberali e amico personale di Dall'Ongaro, uno degli intellettuali di punta tra i Favillatori, infine la concessione a Domenico Rossetti della carica di Procuratore civico (corrispondente alla carica di presidente del Consiglio comunale), che il Rossetti tenne fino alla sua morte, nel 1842.

Anche dal punto di vista economico il panorama si presentava sotto ottimi auspici: risalgono infatti a questo periodo l'apertura del Cantiere di San Marco, la nascita, sull'esempio dell'omonimo istituto inglese, del Lloyd Austriaco, che pochi anni dopo la fondazione assumerà anche in prima persona le funzioni imprenditoriali, la fondazione della Cassa di Risparmio di Trieste.

Segno evidente di questo coraggioso proiettarsi verso un futuro di grande imprenditorialità è anche la decisione da parte del Municipio, del Lloyd e della Borsa di aderire alla “Società di studi per la costruzione del canale di Suez” (1846).

È questo il quadro generale della città alla vigilia della “primavera dei popoli” (1848-1849).

Come in quegli anni sottolineava con fermezza Kandler, gli interessi vitali di Trieste legavano la città all'entroterra asburgico ed anche se i diritti delle nazionalità erano “sacri” non si doveva dimenticare che “gli stati si formano e si uniscono dietro convenienza”: Trieste poteva ben essere culturalmente italiana pur continuando a far parte, politicamente, della monarchia asburgica.

Lo spirito che animava Kandler era in realtà condiviso da gran parte della popolazione e in particolare dai ceti commerciali e imprenditoriali, che temevano sopra ogni cosa la rottura con Vienna.

Il patriota dalmata Giulio Solitro, forse il più radicale dei democratici triestini, registrava sconsolato questa situazione, lamentando che a Trieste “la rivoluzione assunse fin dal principio, e mantiene anche oggi [1849] l'indole e le vesti della commedia.

Trieste da marzo ad oggi non ebbe neanche un carcerato politico, non dié sospetti, né motivo né pretesto a sospetti”.

Il giudizio di Solitro è forse ingeneroso e troppo condizionato dalla passione politica. Anche a Trieste, in un primo momento, si ebbero manifestazioni, cortei, affissioni di cartelli patriottici, qualche sporadico e breve arresto, qualche esilio; ma nel complesso, indubbiamente, il movimento patriottico fu ben poca cosa.

Anche quando si inneggiava all'Italia, a Pio IX, a Vittorio Emanuele II, le proposte politiche erano molto superficiali, spesso contraddittorie. Compariva ancora il richiamo alla “nazione triestina”, l'eterno mito indipendentista: da Udine il Dall'Ongaro la incitava a diventare a un tempo “città italiana” e “città libera”, “città anseatica”, “l'Amburgo dell'Adriatico”.

Da Venezia diventerà anche fautore, assieme a Pacifico Valussi, di un'ampia intesa contro il germanesimo.

Agli inizi del '49 la situazione divenne calma e non si verificarono più fatti rilevanti. La “fedelissima” aveva emarginato i pochi nemici dell'Austria e il generale Gyulai, cui Radetzky aveva attribuito i pieni poteri in città, si rese conto ben presto che i primi timori erano infondati, finendo con l'additare ad esempio il comportamento dei triestini ai meno fidati istriani.

La città poteva ora riprendere quel cammino di sviluppo che l'avrebbe portata a metà degli anni Cinquanta a diventare il 7° porto del mondo, il 2° bacino del Mediterraneo, dopo Marsiglia.

Il decennio che va dal 1850 al 1860 – chiamato anche “era di Bach”, dal nome dello statista ministro dell'Interno artefice principale del nuovo statuto che venne concesso alla città nel 1850 – fu senza dubbio un periodo di conservatorismo, ma, come sottolinea Apih, anche e “soprattutto di profonda trasformazione. La fondamentale riguardò il traffico, che cominciò a evolversi da commerciato a traffico di transito: era l'effetto della generale rivoluzione dei mezzi di trasporto, in particolare dell'avvento su larga scala delle ferrovie, che faceva del porto non più un centro quasi autonomo di transazioni commerciali, ma un intermediario, non di rado passivo, tra il retroterra e il mare.

Nel 1856, dell'insieme del traffico triestino, quello marittimo occupa il 77%, e nel 1865 il 60%, mentre quello terrestre sale dal 23% al 40%. […]

Ancora tra il 1850 e il 1885, Trieste è il settimo porto mondiale e il secondo del Mediterraneo, dopo Marsiglia, ma la sua struttura emporiale tiene anche perché opera prevalentemente nella zona Adriatico-Levante, arretrata nelle infrastrutture; e pure qui la concorrenza della marina a vapore occidentale era forte”.

In campo sociale, di notevole rilievo è il consolidarsi del ceto medio, in particolare l'affermazione delle “professioni”, come risulta chiaramente dall'aumento della popolazione, che passa, in tutto il comune, da 82.000 a 108.000 abitanti.

Questo ceto medio è sempre più incline a forme avanzate di liberalismo e di coscienza nazionale: spesso insofferente nei confronti dell'alta borghesia cosmopolita, mostra un'orgogliosa consapevolezza della propria identità morale e sociale.

Le dinamiche politiche di questo decennio vengono così sintetizzate da Silvio Benco: “Imprimono al Comune una tendenza conservatrice gli impiegati dello Stato, i grandi possidenti e i grandi commercianti, in parte d'origine straniera: vi imprimono una tendenza progressista la piccola borghesia e l'artigianato libero, gli impiegati del Comune, le classi dell'intelligenza”.

In questo periodo si verificarono profondi cambiamenti anche tra i cittadini di lingua slovena.

Nel 1849 nacque il primo giornale sloveno della città, il Slavjanski rodoliub (Il patriota sloveno), che cominciò a dibattere i problemi fondamentali che coinvolgevano la comunità: la scuola, l'uso della lingua, la tutela dei diritti nei diversi momenti della vita civile.

Negli anni successivi il movimento nazionale sloveno si sviluppò con sempre maggior forza, sia attraverso la fondazione di riviste e di giornali, sia attraverso la creazione di organizzazioni sindacali e di club politici: nel 1868, a Schönpass, presso Gorizia, fu convocato un “Tabor” (comizio all'aria aperta) durante il quale venne avanzata la richiesta di dar vita alla “Slovenia”, cioè ad un'unità amministrativa di tutti gli sloveni, allora divisi tra Carniola, Stiria, Carinzia e Litorale, nonché all'immediata costituzione di scuole nella futura provincia unitaria e di un'Accademia giuridica a Lubiana.

Questi primi passi del movimento nazionale sloveno – come sottolinea il Vivante – furono mossi sotto l'egida del clero cattolico, che aveva a quel tempo una grande influenza anche in campo politico, soprattutto tra i contadini.

Un esempio di questa presenza lo troviamo nella composizione stessa della “Dieta istriana”, nella quale, oltre ai 30 deputati eletti, sedevano anche i tre vescovi di Trieste-Capodistria, di Pola-Parenzo e di Veglia.

Erano tutti e tre slavi e si fecero paladini dell'idea nazionale slava nell'Istria, sottolineando la superiorità numerica slava in quelle terre.


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